Come diventare un Leader - GiovanniCozza&Partners

Business Coaching: come diventare leader.

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La capacità di guidare i nostri collaboratori con efficacia è ciò che chiamiamo leadership.

L’essere umano da sempre, essendo un animale sociale, ha avuto a che fare con un capo, un “leader”. Coloro che seguono i leader vengono definiti seguaci, “follower” (oggi nel contesto dei social network ha un significato che deriva proprio da questa accezione originale).

Nella storia si sono susseguiti numerosi e diversi esempi di Leader: gli imperatori romani, i signori del medioevo, i comandanti militari nella seconda guerra mondiale, politici come JF Kennedy, personaggi dall’alto valore morale come Madre Teresa di Calcutta, Gandhi e Nelson Mandela. Questi Leader avevano i loro “fans”, seguaci o follower. Come noto, questi Leader avevano anche carisma, che nulla ha a che vedere con la leadership di cui parliamo qui.

Tutti siamo chiamati a essere leader quando diventiamo genitori. Se diventiamo manager di un gruppo di lavoro siamo di fatto dei leader. Un manager a capo di un gruppo deve avere la capacità di guidare i suoi uomini con efficacia verso l’obiettivo e questa qualità la chiamiamo leadership, senza dover scomodare il carisma.

Qualcuno potrà sentirsi pienamente soddisfatto della propria leadership e ritenere queste righe ininfluenti.
In qualità di capo di un gruppo ognuno applica istintivamente lo stile a sé più congeniale e che ritiene maggiormente efficace. Alla fine dell’articolo sono riassunte alcune tipiche categorie in cui ci si può riconoscere.
Gli stili di comunicazione più noti sono quello autoritario e quello partecipativo. Ma non sono gli unici.

Gli americani con un approccio tipicamente anglosassone hanno il merito talvolta di riuscire a codificare un fenomeno e renderlo fruibile a tutti. Hanno indagato la leadership già dagli anni ‘40 per comprendere quali meccanismi potenziassero l’efficacia dei vertici militari in guerra. Da questa pratica sul campo si è scoperto che ci sono due parametri di cui tenere conto: l’obiettivo e la situazione personale del collaboratore.

Nel 1970 Hersey e Blanchard mettono a punto il metodo denominato leadership situazionale.
L’aspetto più significativo della leadership situazionale è di aver definito che “non esiste un modo giusto di essere leader, non è possibile definire un solo stile di leadership che sia adatto a tutte le diverse possibili situazioni ma, al contrario, lo stile deve essere scelto in funzione delle diverse situazioni e delle diverse caratteristiche dei collaboratori che il capo si trova a gestire”.
Il modello messo a punto da Hersey e Blanchard ha il pregio di essere attuabile da chiunque.
Perché applicare questo modello? Perché aumenta la motivazione e l’efficacia dei collaboratori, nonché la capacità di gestire al meglio il tempo o investirlo dove effettivamente serve.
Quindi possiamo migliorare moltissimo la nostra efficacia, scegliendo lo stile più funzionale alla situazione che siamo chiamati a affrontare.

Come è semplice intuire, quello della leadership situazionale è un tema molto vasto e articolato, che qui si è scelto semplicemente di introdurre. L’occasione per approfondirlo non mancherà: il 7 marzo p.v. Bridge Partners® ha, infatti, deciso di dedicare all’argomento il primo degli appuntamenti targati Pillole di Managerialità. Sarà un’occasione per entrare nel vivo e acquisire alcuni strumenti utili, immediatamente applicabili, per migliorare la propria capacità di valutare, gestire e far crescere se stessi e i propri collaboratori.

 

Di seguito, come promesso, le categorie cui si accennava precedentemente. Per ciascuna troverete indicate alcune situazioni spontanee rappresentative. Vi riconoscete in qualcuna?

“I domatori”

•Pensano che nessuno sappia fare le cose bene come loro!
•Sono efficienti in caso di crisi e/o in situazioni in cui attorno le persone hanno scarse competenze.
•Vogliono continuare a fare quello che facevano prima della loro promozione.
•Condizione tipica dei “nuovi promossi”.

“I manichei”

•Tendono a etichettare le persone: esistono i buoni o i cattivi.
•Sfruttano i loro collaboratori piuttosto che aiutarli a crescere.

“I pompieri”

• Intervengono tempestivamente in situazioni di emergenza o di crisi.
• O impongono, o lasciano fare!

“I prudenti”

•Non utilizzano la delega o la direttività, essendo stili rischiosi per loro.
•Rischiano di perdere una promozione perché non c’è nessun collaboratore pronto a sostituirli.
•Spesso hanno difficoltà nel gestire il loro tempo.

“I venditori”

•Non impongono quasi mai.
•Non fanno veramente partecipare.
•Vendono le loro idee o lasciano fare.

“I permissivi”

•Impongono le cose con difficoltà.
• Hanno problemi a dirigere in situazioni di crisi.
•Si trovano in difficoltà nel dirigere persone con poca esperienza.
•Sono adepti della “non direzionalità” e del “management del consenso”.

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